A ogni persona intervistata vengono poste domande che potremmo definire poetiche: sono quesiti che riguardano l’abitare, poste in una forma più inusuale. La particolarità di queste domande risiede nella loro stravaganza, ai confini con la poesia, che è il luogo dell'immaginazione per antonomasia. Queste domande cercano di svincolarsi da quella che classifichiamo come realtà tangibile per farci capire che anche le emozioni sono concrete.
(Mariagrazia, 51 anni)
(Maria Teresa, 22 anni)
(Antonio, 68 anni)
(Mariagrazia, 51 anni)
(Nello, 51 anni)
(Annalisa, 43 anni)
(Antonio, 68 anni)
(Maria Teresa, 22 anni)
(Antonio, 68 anni)
«Lo sto abbellendo, lo sto rendendo più mio. Tutto il mobilio è il nostro, quindi la maggior parte delle cose. Metto quadri che mi piacciono o delle piante. Guardo anche gli angoletti e le cose più stupide magari: tipiche cose che faresti in una casa che è tua. Ad esempio penso: “Qui potrei comprare questa cosa perché sta bene”. Prima invece non non lo facevo. Subito dopo il terremoto c'era proprio la negazione più totale verso tutto quello che poteva essere una casa che non era la mia. Quando inizio a pensare ai traslochi inizio ad andare in tilt. Da dopo il terremoto i cambiamenti mi mettono abbastanza ansia, un po’ di disagio. Li vivo come se mi togliessero molta energia. È bello cambiare, guardi il lato positivo e ti dici: “Sai, magari posso cambiare diverse case”. Però comunque io penso che dentro di me c'è una sorta di malinconia. Per esempio, questa casa mi dispiacerebbe lasciarla perché è come se tu dopo un po’ inizi ad abituarti, a trovare una tua dimensione e poi improvvisamente quella dimensione sparisce un'altra volta. Devi ricominciare di nuovo tutto da capo, in un altro posto e da un'altra parte. Ovviamente lo prendo anche positivamente e mi dico: "Sai, magari un'altra casa, un altro posto... conosco altre persone, i vicini. Cerco di prendere le cose positive però comunque mi rendo conto che mi pesa. Io penso che soprattutto noi giovani dobbiamo cercare di dare forza a chi sta dietro di noi. I nostri genitori magari hanno vissuto per tantissimi anni in una casa dove hanno fatto tantissimi sacrifici e poi si sono trovati veramente a perdere tutto. Di riflesso le abbiamo perse anche noi, perché magari potevamo avere una stabilità che adesso non abbiamo più. Adesso mi sarei potuta trovare una casa dopo che i miei avevano fatto tanti sacrifici anche per me, però purtroppo è andata così. Penso che non ce ne possiamo fare una colpa, quindi in qualche modo dobbiamo farci forza.» (Danila, 35 anni)
«Non ho personalizzato la casa. Mi sono adattata a quello che ci ho trovato, non ho appeso nulla. C'è stata una piccola parentesi in cui c'è stato il mio fidanzato qui e lui ha appeso qualcosa di suo in camera. Io no, non l'ho personalizzata, non c'è nulla. Ho messo delle foto sul comodino, ma erano foto che avevo a casa e non sapendo dove metterle le ho messe sulla scrivania. Però in realtà non è stato voluto, non ho preso niente, non ho personalizzato la camera. In realtà anche nella camera di casa mia non avevo mai messo quadretti, non mi appartiene, mi piace più un ambiente asettico.» (Giuliana, 30 anni)
«Ho portato quasi tutti i mobili che avevo in casa mia e i miei oggetti personali. Non tutto quello che volevo però quelli più importanti per me li sono riuscita a portare, questo rende la casa più mia e sento meno distacco rispetto a quanto ce ne sarebbe stato se non avessi portato i miei mobili e le mie cose personali.» (Lucia, 26 anni)
«La mancanza di spazi utili ha condizionato il fatto di personalizzarli, perché non ci si può mettere niente di proprio. E poi c'è il fatto della temporaneità: essendo una casa temporanea sembra sempre che la devi lasciare. Certe cose uno le ha dovute fare per forza, perché sono passati quattro anni e quindi alla fine un po’ di personalizzazione c'è dovuta stare per forza. Però diciamo che il fatto della temporaneità incide.» (Stefania, 43 anni)
«Personalmente non è una cosa che faccio più di tanto, tranne che mettere i miei profumi o cose
del genere sulla mensola. A livello di decorazioni, tipo
fotografie e cose del genere no, non metto
nulla del genere. Però mia madre, per esempio, usa le decorazioni di casa
nostra [vecchia] e le mette nella casa giù. Quando ce ne andiamo chiaramente
vengono tolte, però quelle della casa vecchia sono state spostate in questa
casa nuova. Nella mia casa originaria io avevo una stanza molto piccola, da un
lato c'era un armadio e dall'altro pure, quindi non è che avessi molto spazio
da dedicare alla decorazione, tranne che mettere qualche libro. Anche a Napoli,
nella stanza che era solo mia non è che abbia messo chissà quali decorazioni. È sempre per un fatto di praticità, pensando che poi magari dovevo spostare
tutto. La logica di fondo è: meno cose ti porti
e più facile è traslocare a giugno. Il mio modo di
sentire lo spazio è più legato a una sensazione, al fatto che mi sento più
stabile io. Quando stavo dalla nonna mi sentivo sempre in movimento, forse perché
ero sballottolata tra diecimila posti diversi. Invece adesso in questa casa è come
se mi sentissi più stabile ed è un paradosso, perché ti ripeto, comunque per tre mesi devo spostarmi per poi rispostarmi di nuovo. Mi sento legata più
a una sensazione che agli oggetti. Poi guarda, può essere pure che a
livello inconscio sia legato ad altri fatti, come ad esempio alle decorazioni che mia
mamma mette.» (Martina, 24 anni)
«Mi ricordo che la prima cosa che ho fatto non appena ho messo piede in casa è stata sistemare su uno scaffale della libreria che ho in camera tante “cianfrusaglie”, come direbbe mio padre. La prima cosa che ho messo è stata la collezione di pietre, quasi tutta di mia sorella e in parte anche mia. Volevo sentirmi protetta e volevo dare gioia e forza anche a mia sorella, con la quale condividevo e condivido tuttora anche la nuova camera.» (Elena, 25 anni)
(Mariagrazia, 51 anni)
(Maria Teresa, 22 anni)
(Maria Teresa, 22 anni)
(Antonio, 68 anni)
(Mariagrazia, 51 anni)
(Maria Teresa, 22 anni)
(Mariagrazia, 51 anni)
(Maria Teresa, 22 anni)
(Antonio, 68 anni)
(Annalisa, 43 anni)
(Maria Teresa, 22 anni)
(Giovan Giuseppe, 61 anni)
(Antonio, 68 anni)
(Mariagrazia, 51 anni)
(Maria Teresa, 22 anni)
(Maria Teresa, 22 anni)
(Marika, 21 anni)
(Mariagrazia, 51 anni)
(Mariagrazia, 51 anni)
Foto di Marco
Marco
mette a fuoco una visione della sua vecchia casa. Il fulcro del suo scatto è il
puntino di luce nella crepa: è la luce della stanza oltre il muro.
“È stata l’unica volta in cui vedere la luce mi ha provocato sconforto.”
«Sì, quando salgo le
scale, perché comunque sono la parte più rovinata e anche perché [quando c'è stato il terremoto] abbiamo fatto
le scale per uscire, al buio, per cui magari è per questo che è la
parte che me lo rievoca di più. Poi comunque se apro la porta non c’è più il
lampadario. L'impatto è quello, quando entro me lo ricorda. Non mi fa piacere andarci [nella casa terremotata], vado ad accompagnare qualcuno se magari gli serve
qualcosa. Non ci vado con piacere.»
(Giuliana, 30 anni)
«Uno spazio o una
stanza no. Però, per esempio c'è un alimento in particolare che stavo per
mangiare di quando è successo tutto e quando lo mangio lo riconduco a quel
momento. Sono i peperoncini, quelli verdi e piccoli. Io li mangio spesso perché
mi piacciono, però ancora adesso dico a tavola: “Mamma mia, questi
peperoncini non ci portarono fortuna quella stasera.»
(Lucia, 26 anni)
Foto di Stefania
Foto di Elena
«Un oggetto della casa dove siamo adesso che mi ricorda il terremoto è l’orologio che abbiamo in cucina. Era un oggetto che avevamo nella vecchia casa e quindi è legato allo stare nella casa. L’orologio scandisce il tempo e mi dice che il tempo passa inesorabilmente, non ne vuole sapere nulla e va avanti. Questo ci ricorda anche che sono passati un bel pezzo di anni ormai da quando c’è stato il sisma, non è piacevole.» (Giovan Giuseppe, 61 anni)
Foto di Giovan Giuseppe
(Nello, 51 anni)
Foto di Nello
La
foto rappresenta il vecchio angolo creativo di Nello: uno
spazio fatto di ricordi, di emozioni e di nostalgia.
(Antonio, 68 anni)
Di seguito si potrà accedere alle interviste complete dei singoli partecipanti, introdotti da una breve descrizione.
L'ordine delle domande può cambiare in ogni intervista e non tutti hanno risposto allo stesso numero di domande. Ogni intervista e risposta è peculiare e personale e, alla fine della parte delle domande, ci sono dei "fuori programma": momenti di libero sfogo e di racconti in cui ognuno ha voluto aggiungere qualcosa o soffermarsi su particolari attimi e sensazioni che ha provato.